Stalker è un collettivo di artisti e architetti nato nel 1995, un’esperienza che prende origine da quella scheggia di generazione che negli anni Novanta ha ricominciato a pensare che “un altro mondo è possibile”, facendo delle occupazioni di spazi dismessi la propria pratica politica, formulando le proprie ipotesi attraverso il vincolo locale/globale, trasformando il nomadismo in stile di vita, ma soprattutto ridisegnando il mondo attraverso una geografia relazionale, in grado di prefigurare un futuro disallineato al presente.
Il progetto culturale di Stalker cambia di segno le superfici abitabili: abitare non vuol dire più essere stanziali ma intraprendere una ricerca. Ricerca di luoghi. Ed è percorrendo alcune superfici che nascono le relazioni, si incontrano i soggetti e si esce dalle geografie identitarie, dai luoghi comuni, dai destini.
L’obiettivo di questo collettivo artistico è dichiaratamente politico, nel senso che intende agire sul terreno sociale e culturale nel quale si aggira. E allora la domanda viene da sé. Cosa vogliono fare? Dove vorrebbero mandare il mondo, o quantomeno quel pezzetto di mondo nel quale vivono e operano? Cominciamo col dire che il mondo deve cambiare rotta, in modo inequivocabile e anarchico, attraverso una prospettiva che coinvolga le comunità, le chiami a procedere, intervenire, deliberare, intraprendere un percorso creativo, laddove la creatività, quindi l’arte, non corrisponde a un linguaggio puramente estetico: creare prospettive.
Coerentemente con la sua storia, Stalker ha iniziato a collaborare con il CIAC – Centro Internazionale per l’Arte Contemporanea di Genazzano, alla costituzione di una sezione di museo relazionale che, coinvolgendo cittadini e amministrazione, trasforma l’ambiente museale (nonostante il CIAC avesse già una vocazione comunitaria molto forte) in luogo di incontri, partecipazione, riformulazioni, infine, forse, prefigurazione di mondi possibili.
Occupare per riabilitare, convertire, ristabilire una relazione tra gestione e comunità, sanare l’inevitabile frattura tra potere e individui. Ed è proprio l’inevitabilità di quella frattura a determinare che la prospettiva sia la condivisione dei poteri, cioè la negazione del Potere, che “scende” a condividere la propria funzione. Se è vero che la realtà esiste perché qualcuno la osserva, allora occupare spazi significa renderli reali, disegnarli, progettarli attraverso il punto di vista di chi lì si sta insinuando.
Durante il primo esperimento di museo relazionale al CIAC, avvenuto lo scorso agosto, Stalker ha invitato la comunità locale a portare pomodori di propria produzione all’interno del museo, dove è stata preparata la pummarola che ha fatto da base al pranzo del giorno dopo. Gli esiti non erano scontati. Quante volte si è parlato di distanza tra arte e società? Due entità che hanno smesso di comunicare da tempo. Al castello poteva non presentarsi nessuno, la gente del paese poteva tenersi i pomodori in casa e lì organizzare il solito pranzo della domenica. E invece sono arrivati in tanti, compresa una parte dell’amministrazione comunale. L’iniziativa proseguirà con l’appuntamento del vino e quello dell’olio, fino a un evento di chiusura che documenterà ciò che è accaduto durante le giornate relazionali. Tra gli obiettivi c’è quello di vendere e portare i prodotti degli eventi nei bookshop dei musei, destinando il ricavato a un’opera di cui i cittadini di Genazzano decideranno di dotarsi all’interno del paese.
L’esempio della pummarola rimanda agli orti sulle terrazze cittadine, al consumo critico, alla critical mass e a tutte quelle forme di disobbedienza che i singoli cittadini, cioè le persone in carne e ossa, inventano per sottrarsi ai giochi di potere in cui il ruolo è stato assegnato praticamente alla nascita.
Siamo così lontani dai moti rivoluzionari di 40 anni fa. La collettività, che allora sfondò i muri della grande storia per provare a decidere alcuni destini, è diventata un concetto astratto, freddo. In confronto sembra quasi risibile organizzare una pummarola. A ben vedere, però, l’iniziativa di Stalker e del CIAC ha un potenziale non indifferente. Persone che entrano in un museo cariche di pomodori, pronte lì dentro a cucinarli, mangiarseli e venderli, è un’immagine che potrebbe avere la forza di un gesto duchampiano. È uno scenario bello, esteticamente alto, è un’occupazione, un luogo che prende la voce, l’aspetto, i pensieri di chi è entrato. È un laboratorio di sottrazione dalla macroeconomia, un tentativo di ristabilire il contatto tra terra e produzione, produzione e consumo. È la ricerca della mappa che consente di restare al mondo uscendo dalle grandi regole. Così lontani dagli anni in cui le collettività, e i collettivi, irrompevano nella storia, così apparentemente alieni dalle prospettive, rischiamo invece, in un modo quasi camuffato, risibile appunto, di rovesciare il segno del mondo tornando all’abc dell’esistenza, perché è lì, dentro l’abc, che ci aggiriamo per tutta la vita.
Monica Micheli
dal quotidiano online Gli Altri del 14/09/2012